Le
Marche sono state definite "terra di contadini" e tra
le quattro province picene, Macerata è stata sempre considerata
la più agricola. Studiando la costituzione sociale dei comuni
marchigiani in genere e volendone determinare le differenze con
gli altri comuni dell'Italia centrale e settentrionale, si è
colpiti dal carattere prevalentemente agricolo della loro economia.
La natura stessa del territorio, con le sue vallate confinanti a
formare tante entità geografiche ben distinte tra loro e
separate dal resto della regione, non favorì mai i grandi
accentramenti urbani.
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Intorno ai secc. XI e XII, le Marche videro sorgere intorno a vecchi
castelli o all'imbocco delle valli di cui sopra, tanti piccoli comuni
che raggiunsero lo stato di città murarie con magistrati
propri e con distinzioni e suddivisioni di classi, ma ebbero sempre
popolazione e territorio assai limitati e furono costituiti quasi
esclusivamente da uomini che vivevano in stretto rapporto con la
terra, fossero essi dei proprietari, dei coltivatori o entrambe
le cose. Se nel periodo delle origini prevalse dunque il carattere
agricolo e aristocratico dei comuni, nel periodo di massimo sviluppo
della civiltà comunale prevalsero invece le classi dei mercanti
e degli artigiani che contribuirono, assieme alla bontà e
al pregio dei prodotti marchigiani, all'affermazione della regione
nel campo del commercio e delle industrie. Questa vitalità
rigogliosa continuò fino al basso Medioevo e al Rinascimento,
per poi diminuire progressivamente, nelle Marche molto più
rapidamente che in altre regioni italiane. La chiusura dei mercati
e la crisi della produzione artigianale e manifatturiera favorirono
quel ritorno alla terra che fece sì che rifluissero verso
le campagne importanti energie umane e cospicui investimenti finanziari.
Così per tutto il Seicento la borghesia cittadina rifugge
dal rischio delle imprese manifatturiere e dei commerci per rifugiarsi
nelle "certezze" della terra, allargando progressivamente
i propri possedimenti, al punto che la classe dirigente diventa
quella dei proprietari terrieri. Nel Settecento poi la ripresa dell'agricoltura
subisce un ulteriore incremento, favorita anche dalla complessa
situazione che colpì tutta l'Europa verso la fine del sec.
XVIII , impedendo la crescita o la ripresa di qualsivoglia attività
produttiva. L'arretratezza dello Stato Pontificio di cui le Marche
facevano parte fece sì che di questa difficile congiuntura
furono risentiti per la maggior parte solo gli effetti negativi.
Le Marche, come gran parte d'Italia, non furono capaci di passare,
sull'onda della Rivoluzione Industriale, dal lavoro artigianale
familiare o rurale a quello più propriamente industriale,
e giunsero alla vigilia dell'unificazione nazionale in condizioni
di arretratezza economica. A differenza delle attività industriali
e commerciali, dopo l'unificazione del 1860, l'agricoltura, impostata
sulla mezzadria classica, mantenne un suo equilibrio e sopravvisse
allo scontro tra l'economia chiusa dello Stato Pontificio e il mercato
italiano, per giungere quasi immutata nella sua forma sostanziale
fino al secondo dopoguerra. Solo nel corso dell'ultimo quarantennio
l'industria è passata da una situazione di complementarietà
rispetto all'agricoltura a una posizione egemone e predominante,
fenomeno questo che può comunque addebitarsi anche al modello
di organizzazione familiare e "aziendale" che derivava
dalla mezzadria.
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